Battaglia di Melito (6 giugno 1349) – Angioini contro Ungari si scontrano sul territorio del borgo melitese. Oltre 1000 tra morti e feriti e 25 dei principali baroni del regno di Napoli fatti prigionieri.

Era il 6 giugno del 1349. Nel borgo di Melito regnava la solita pace nonostante si trovasse in quel momento tra due fuochi. I melitesi non lo sapevano, ma stavano per essere testimoni di uno dei più importanti e cruenti scontri del Medioevo, passato alla storia con il nome di Battaglia di Melito. Ad affrontarsi in uno dei principali combattimenti svoltisi nel sud Italia ci sono gli Angioino-napoletani e gli Angioino-ungheresi. Melito, storicamente per metà sotto l’influenza di Napoli e per metà sotto quella aversana, si trasforma in un campo di battaglia per le due fazioni. Quella del 6 giugno 1349 si rivelerà una perfetta dimostrazione di quanto la strategia, la tecnologia e l’astuzia siano sempre state fondamentali per prevalere nei combattimenti di ogni epoca.

Premessa

Giovanna I di Napoli

Il Regno di Napoli era devastato dalle lotte dinastiche che avevano visto, nel 1345, l’assassinio di Andrea del ramo ungherese dei d’Angiò, consorte della regina Giovanna I allora regnante, ad opera di congiurati probabilmente ispirati dalla stessa regina. Dopo alterne vicende, il fratello di Andrea, Luigi, re d’Ungheria, calò nel Regno di Napoli con un potente esercito costituito da Ungari (come li chiamavano le cronache del tempo), Tedeschi e compagnie di ventura. Nel 1348, avendo compiuto la sua vendetta facendo impiccare ad Aversa alcuni dei nobili congiurati, fece ritorno in patria, non senza essersi assicurato il controllo di numerose città e piazzeforti del Regno. La regina Giovanna, dopo essere riparata in Provenza per sfuggire all’ira dell’Ungherese, fece ritorno a Napoli accompagnata dal nuovo consorte, Il cugino Luigi di Taranto, il quale, alla testa del baronaggio napoletano, intraprese la riconquista dei territori tenuti dagli Ungari.

Regina giovanna d'angiò

L’avanzata su Aversa, l’approdo a Melito e la trappola ai Napoletani

La lotta si accese feroce soprattutto in Puglia, dove, però, nella primavera del 1348, arrivarono massicci rinforzi ungheresi costituiti da un nerbo di 300 cavalieri ungari guidati dal Voivoda di Transilvania Stefano Laczkfy. In breve tempo egli ridusse alla sua obbedienza le città di Barletta, Trani, Bitonto, Giovinazzo, Molfetta e altri luoghi. Dopo di ciò avanzò su Aversa, da dove si spinse fino a Melito, alle porte di Napoli.

I grandi baroni napoletani, raccolto un numeroso esercito, gli si fecero incontro per sbarragli la strada per la Capitale. L’armata del Voivoda – composta da Ungari e dalle compagnie di ventura italo-tedesche di Corrado Lupo (Konrad Wolfhardt di Bregenz), del famigerato duca Guarnieri (Werner von Urslingen, condottiero della Gran Compagnia, che si autodefiniva “nemico di Dio, della pietà e della misericordia”), e di Konrad Wirtinger von Landau detto il Conte Lando – si attestò ad Aversa.

Qui tesero una trappola ai Napoletani facendo loro credere che nel proprio campo fosse scoppiato un aspro dissidio tra le truppe tedesche e quelle ungheresi. I Napoletani marciarono su Aversa, disponendo di un forte esercito condotto dai maggiori baroni del Regno – tra i quali ricordiamo Roberto e Ruggiero di Sanseverino, e Raimondo del Balzo maresciallo del Regno -, nonché da mercenari delle compagnie del tedesco conte di Sprech e di Guglielmo da Fogliano, e pensarono di approfittare subito della situazione, candendo così nel tranello. Era il 6 (secondo altri il 5) giugno del 1349.

La Battaglia

Nel frattempo, gli Ungari avevano fatto appostare fuori della città un corpo di circa 300 arcieri a cavallo guidati dal Landau, che, come vedremo, giocarono un ruolo risolutivo per il risultato della battaglia. Tale circostanza appare degna di nota in quanto costituisce una preziosa testimonianza del fatto che gli Ungheresi del XIV secolo, nonostante ormai combattessero con tecniche ed equipaggiamenti alla occidentale – basati sulla cavalleria pesante – ancora conservassero il retaggio degli antenati magiari, i quali utilizzavano la classica tattica degli arcieri a cavallo delle steppe asiatiche.

Gli Ungari uscirono da Aversa incontro al nemico a schiere. La prima fu quella dei Tedeschi di Corrado Lupo, che però in breve tempo fu sopraffatta dalla cavalleria napoletana, e lo stesso condottiero fu catturato. Questa circostanza, tuttavia, invece di scoraggiare gli Ungari, li spronò alla riscossa. Sebbene inferiori di numero, si lanciarono con le altre loro schiere contro i Napoletani, ingaggiando una feroce mischia. In tale frangente entrarono in azione gli arcieri a cavallo, che, usciti dai loro nascondigli, presero alle spalle i Napoletani, saettandoli con le loro volée, che abbattevano cavalli e cavalieri. In tal modo l’esercito regio fu accerchiato e vedendo persa la giornata, cercò di ripiegare verso Napoli. Ma gli Ungari e i Tedeschi inseguirono prontamente i fuggitivi fin sotto le mura della Capitale, uccidendone molti e catturando il maggior numero di capi e di nobili dell’esercito del re, liberando lo stesso Corrado, prima catturato.

Infine, tornarono in trionfo nella città di Aversa, portando con loro moltissimi cavalli e prigionieri. Il bilancio della giornata si concludeva con pesanti perdite da parte napoletana (circa mille uomini tra morti e prigionieri). Tra questi ultimi c’era il fiore della nobiltà napoletana: Raimondo del Balzo, Roberto e Ruggiero di Sanseverino, Adamo de’ Visconti de-la-Tremblay, Giovanni e Rostaino Cantelmo, Giovanni di Lagonessa, e tanti altri nobili cavalieri Latini e Tedeschi per un ammontare di circa mille.

Fonti: – Domenico da Gravina, Chronicon de rebus in Apulia gestis, a c. di A. Sorbelli, Rerum Italicarum Scriptores, XII, 3, Città di Castello 1903-1909.
-Matteo Villani, Cronica; con la continuazione di Filippo Villani, a c. di G. Porta, Guanda 1995.

(https://storiamilitaremedievale.wordpress.com/2022/01/05/1349-battaglia-di-melito-na-angioino-napoletani-contro-angioino-ungheresi/)

La battaglia di Melito vista dai protagonisti

Tra i condottieri di ventura, ovvero mercenari, presenti sul campo di battaglia figuravano – nella compagine del re d’Ungheria – Corrado Wirtinger di Landau, detto il Conte Lando, e Corrado Lupo. Secondo le cronache fu proprio quest’ultimo a far consegnare al re di Napoli un guanto lacerato e coperto di sangue. Per spingere ulteriormente gli angioini a battaglia campale simulò una divisione nel suo campo fra le milizie tedesche e quelle unghere. Gli avversari caddero nell’inganno ed attaccano il suo campo a Melito fidando nella sorpresa. Corrado Lupo uscì a sua volta da Aversa per affrontarli. In un primo tempo la sorte dello scontro sembrò favorevole agli avversari che riescirono a catturare lo stesso Corrado Lupo; un intervento del conte Lando, alle spalle della cavalleria napoletana, concesse poi la vittoria agli ungheri.

Nella battaglia furono fatti prigionieri venticinque dei principali baroni del regno di Napoli con Roberto da San Severino e Raimondo del Balzo; le perdite ammontarono a 1000 uomini tra morti e prigionieri. Per la vittoria il voivoda fu costretto a riconoscere alle truppe la somma di 150000 fiorini, ricavata dalle taglie, a compensazione delle paghe arretrate.

Sul fronte opposto, tra gli angioini napoletani figurano diversi condottieri, tra i più noti c’era Guglielmo da Fogliano che militava agli stipendi di Luigi di Taranto contro il re Ludovico d’Ungheria. Lasciò Napoli con Raimondo del Balzo, Giovanni di Asperg e Roberto da San Severino e si accampò a Secondigliano; deciso ad attaccare a Melito gli ungheri, comandati da Corrado Lupo. Secondo alcune voci emanate ad arte nel campo nemico, l’impresa si presentava facile per la discordia che divideva gli ungheri dai mercenari tedeschi. Lo scontro si rivelò fatale per le milizie napoletane. Il Fogliano fu catturato, spogliato di armi e cavalli e rilasciato dietro il pagamento di una taglia. Promise di non combattere più gli ungheri.

La vittora degli Ungheri fu schiacciante: tra morti e feriti gli angioini persero un migliaio di uomini (catturati 25 baroni); le armature pesanti e robuste di tedeschi ed ungheri fecero sì che costoro avessero pochi feriti e neanche un morto.

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